Effetti sul cervello della comorbidità vascolare nella sclerosi multipla

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 18 giugno 2022.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

In molte aree del nostro paese, anche se non con l’incidenza del Nord Europa e del Nord America, la sclerosi multipla sta diventando sempre più un flagello neurologico che colpisce i giovani e l’età media della vita, con la stragrande maggioranza dei casi costituita da donne. Ma, col miglioramento delle terapie e l’assunzione da parte di molti pazienti di stili di vita più salutari e adatti a favorire il contenimento delle risposte infiammatorie nelle forme remittenti-recidivanti, la sopravvivenza è molto migliorata, e il prolungamento della vita sta ponendo nuovi problemi.

Tra questi problemi vi è senz’altro la comorbidità con altre malattie che si sviluppano dopo l’età media e interessano primariamente o secondariamente i vasi sanguigni, come i processi arteriosclerotici, ateromasici, l’ipertensione, il diabete, le cardiopatie e tanti altri.

La sclerosi multipla è la più importante malattia demielinizzante del sistema nervoso centrale ed è attualmente studiata come patologia cronica infiammatoria e neurodegenerativa del sistema nervoso centrale, nella quale il processo patologico principale è costituito dalla distruzione immuno-mediata della guaina mielinica e degli oligodendrociti[1]. Il rilievo patogenetico di tale componente ha indotto molti patologi, in passato, a considerarla una malattia autoimmune provocata dall’esposizione ad agenti ambientali, trascurando i fattori genetici dell’eziologia[2]. Oltre vent’anni di studi condotti su famiglie e gemelli hanno poi dimostrato in modo convincente l’esistenza e l’importanza, verosimilmente per una parte considerevole di casi, di una componente genetica[3]. Grazie a studi di associazione, sono stati già identificati e caratterizzati alcuni fattori di rischio primariamente legati al sistema immunitario[4], ma è emerso che le varianti associate hanno un effetto molto limitato rispetto al rischio complessivo di malattia e non possono giustificare l’aggregazione di parenti biologici con sclerosi multipla dedotta dall’analisi delle famiglie.

Se si sono fatti notevoli passi in avanti nella comprensione dell’eziologia genetica dei casi familiari – emblematico l’esempio della mutazione in NR1H3 che determina una perdita di regolazione trascrizionale e ha causato la malattia in due famiglie studiate da Wang e colleghi[5] – per la stragrande maggioranza dei casi, la cui eziologia è definita solo nei principi, rimane il problema di prevedere l’evoluzione, prevenire la conversione delle forme remittenti-recidivanti in forme progressive e di ridurre la mortalità per le forme e gli stati attualmente a prognosi infausta. A tale fine è senz’altro di notevole importanza clinica l’esatta definizione del ruolo della comorbidità, ossia della coesistenza dei processi patologici che ho prima menzionato, nell’evoluzione sfavorevole, ma anche perché la comprensione in termini molecolari e cellulari delle sinergie dannose può contribuire a una migliore conoscenza della fisiopatologia della sclerosi multipla.

John Fisk con Ruth Ann Marrie e numerosi altri colleghi hanno studiato gli effetti della comorbidità vascolare sulla cognizione nella sclerosi multipla, ottenendo risultati di notevole interesse.

(Marrie R. A., et al., Effects of Vascular Comorbidity on Cognition in Multiple Sclerosis Are Partially Mediated by Changes in Brain Structure. Frontiers in Neurology – Epub ahead of print doi: 10.3389/fneur.2022.9100142119804119, 2022).

La provenienza degli autori è la seguente: Departments of Internal Medicine, Community Health Sciences, Clinical Health Psychology, and Radiology, University of Manitoba, Winnipeg, MB (Canada); Division of Diagnostic Imaging, Winnipeg Health Sciences Center, Winnipeg, MB (Canada); Neuroscience Research Program, Winnipeg Health Sciences Center, Winnipeg, MB (Canada); Department of Psychiatry, University of Manitoba, Winnipeg, MB (Canada); Department of Psychology, St. Francis Xavier University, Antigonish, NS (Canada); Department of Neurology, University of Rochester, Rochester, NY (USA); Nova Scotia Health and the Departments of Psychiatry, Psychology & Neuroscience, and  Medicine, Dalhousie University, Halifax, NS (Canada).

Si propone qui di seguito un’introduzione clinica, storica ed eziopatogenetica alla sclerosi multipla, prima di esporre in sintesi il lavoro di Marrie e colleghi.

Clinicamente la sclerosi multipla è distinta in 5 forme principali: la remittente-recidivante, che è la più frequente, la forma secondariamente progressiva, quella più rara che assume subito andamento progressivo, la forma acuta[6] e, infine, la sclerosi cerebrale diffusa[7]. Il sintomo iniziale in circa la metà dei pazienti è costituito da debolezza o torpore in un arto o due: all’esame neurologico spesso il paziente riferisce sintomi ad un solo arto ma si rilevano deficit, quali un Babinski positivo, anche nell’arto controlaterale. Sono avvertite parestesie e sensazioni di avere il tronco o un arto stretto da una fascia, verosimilmente per interessamento delle colonne posteriori del midollo spinale. L’esame dei riflessi tendinei inizialmente evidenzia ritardo di risposta che tende a mutare in iperattività. In generale, le manifestazioni sintomatologiche variano secondo un’ampia gamma di intensità, potendo essere sfumate o configurare vere e proprie paraparesi spastiche o atassiche. In vari casi l’emergenza clinica assume il profilo di una delle seguenti sindromi: 1) neurite ottica; 2) mielite trasversa; 3) atassia cerebellare; 4) sindromi del tronco encefalico (vertigine, disartria, diplopia, dolore o torpore faciale).

I dati su soggetti, etnie ed aree geografiche più colpite hanno costituito inizialmente un’indicazione orientativa per la ricerca sulle cause. La prevalenza maggiore è fra i Caucasici in aree con temperature medie annuali basse, ma la malattia, sia pure con una minima incidenza, è diagnosticata anche nei paesi tropicali. Fra i due sessi è maggiormente colpita la donna con un rapporto di 2:1 o 3:1[8]; le ragioni di questa differenza sono ancora sconosciute, ma il dato accomuna la sclerosi multipla a molte malattie autoimmuni[9].

Oggi, con stime epidemiologiche che superano i 2 milioni di persone affette in tutto il mondo e una prevalenza di 1:1000[10], non meraviglia che sia considerata la malattia neurologica più comune fra i giovani adulti[11]. In proposito, non possiamo dimenticare l’osservazione di Gilbert e Sadler che, dopo aver descritto cinque casi di studio autoptico nei quali sono state inaspettatamente scoperte le tipiche lesioni della sclerosi multipla in persone ritenute asintomatiche per tutta la vita, concludono che la reale incidenza potrebbe essere anche di tre volte maggiore di quella attualmente riconosciuta[12].

Eppure, fino agli anni Ottanta, ossia fino a quando sono stati introdotti criteri diagnostici e metodi basati sulla risonanza magnetica nucleare, in molti istituti neurologici la sclerosi multipla è stata considerata alla stregua di una malattia rara. È ragionevole supporre che una causa del basso numero di casi rilevati in quel periodo sia da ascriversi a falsi negativi e a numerosi casi mai giunti all’osservazione specialistica; tuttavia, non sono stati pochi i neurologi che hanno sospettato, probabilmente in relazione ad ipotesi eziologiche con un ruolo preponderante attribuito a fattori ambientali, che la malattia fosse rara in passato e si fosse verificato un effettivo e notevole incremento di persone colpite in epoca recente.

Ma, attingendo per informazioni a documenti di valore ormai storico, abbiamo conferma di una frequenza tutt’altro che bassa già nel passato, se con i limitatissimi mezzi diagnostici dell’Ottocento i neurologi edotti della sua esistenza hanno potuto lasciarci traccia di una discreta casistica[13].

All’inizio del diciannovesimo secolo la malattia, poi denominata dai neurologi britannici disseminated sclerosis e da quelli francesi sclérose en plaques, era già conosciuta, come si desume dalle accurate descrizioni pubblicate nel tempo da Carswell, da Cruveilhier e poi da Frerichs. È interessante notare che, solo dopo quel periodo, si ebbe l’interessamento da parte di Jean-Martin Charcot, in molte trattazioni indicato quale primo studioso di questa malattia. La ragione di tale attribuzione è tuttavia facile da comprendere, se si considera che il celebre chef de clinique della Salpêtrière che attrasse a Parigi il giovane Freud per i suoi studi sull’isteria, analizzò accuratamente ben 34 casi, definendo nel 1868 aspetti anatomopatologici e clinici mai rilevati in precedenza, e successivamente richiamò l’attenzione della comunità medica internazionale istituendo una fondazione per lo studio della malattia[14]. Un’altra ragione dell’oblio toccato agli studi dei neurologi che avevano preceduto Charcot è nella formulazione di ipotesi eziologiche erronee, talvolta elaborate secondo concezioni che ci appaiono anacronistiche. Ad esempio, Cruveilhier, nel suo saggio pubblicato intorno al 1835, ipotizzava all’origine della sclerosi multipla una soppressione della sudorazione.

Da quell’epoca lontana, si sono compiuti enormi progressi nella conoscenza dei processi patogenetici che portano dalle lesioni focali demielinizzanti alla sezione degli assoni e alla perdita dei neuroni con i deficit neurologici delle fasi avanzate e delle forme progressive, ma quanto alle cause della sclerosi multipla sappiamo poco più di allora e, soprattutto, troppo poco in rapporto alla responsabilità che ricercatori e medici sentono di fronte ad una sofferenza che in un numero crescente di persone chiede di essere alleviata se non eliminata.

Numerosi dati suggeriscono l’influenza di fattori ambientali sulla possibilità di sviluppare la malattia[15]. Studi sui flussi migratori indicano che il rischio di ammalarsi di sclerosi multipla è maggiore in coloro che abbiano vissuto in aree ad alta prevalenza della patologia prima della pubertà. Altre osservazioni riportano dei picchi di incidenza in riferimento ad un determinato luogo o ad un periodo particolare, suggerendo l’importanza di una variabile temporale. Simili profili di distribuzione possono far pensare ad infezioni, a fattori nutrizionali o a tossicità chimica.

L’ipotesi seguita dalle più numerose e intense indagini sperimentali è stata quella virale, con studi condotti sui virus di Epstein-Barr, Herpes simplex 1 e 2, HHV6, Varicella zoster e altri agenti eziologici degli esantemi dell’infanzia. Gran parte dell’interesse per l’ipotesi virale è derivato dal rischio di encefalomielite acuta disseminata che segue infezioni virali e dalla prevalenza di sieropositività a virus come quello di Epstein-Barr nelle persone affette da sclerosi multipla.

Anche alcuni risultati di studi volti ad accertare il ruolo di fattori ambientali hanno contribuito a confermare l’importanza della ricerca sull’eziologia genetica, nonostante siano sempre mancate evidenze per una ereditarietà mendeliana[16]. La diversa prevalenza fra gruppi etnici e la già ricordata differenza nella concordanza fra gemelli monozigoti e gemelli dizigoti hanno costituito fattori determinanti. Più recentemente l’analisi estesa all’intero genoma del polimorfismo di singoli nucleotidi ha identificato numerosi loci genici associati ad accresciuto rischio di malattia nella popolazione generale[17]. Molti polimorfismi mappano geni o loci genici associati con la regolazione immunitaria. Una forte associazione rilevata qualche anno fa è quella con l’HLA-DRB1 sul cromosoma 6p21, che sembra dar conto del 16-60% di suscettibilità genetica allo sviluppo della malattia. Il prosieguo della ricerca sta identificando un numero sempre crescente di loci genici verosimilmente legati alla possibilità di sviluppare un disturbo neurologico clinicamente rilevante, pertanto l’opinione più seguita fra i genetisti è che, se si dimostrerà che la sclerosi multipla è in senso stretto una malattia genetica, sarà definita come un disturbo complesso nel quale molti geni polimorfici interagenti hanno una bassa penetranza ed esercitano un piccolo effetto sul rischio patologico complessivo[18][19]

Torniamo ora allo studio di Ruth Ann Marrie e colleghi qui recensito. Studi precedenti hanno dimostrato che le comorbidità vascolari nella sclerosi multipla sono associate a ridotta prestazione cognitiva e, soprattutto, a cambiamenti nella struttura cerebrale che sono interpretati quale base anatomopatologica dei difetti manifestati ai test neuropsicologici. La comprensione delle vie eziologiche che conducono a queste alterazioni morfo-funzionali, non riscontrate nei pazienti affetti dalla sola sclerosi multipla, potrà consentire l’elaborazione di specifici piani di intervento per mitigare l’impatto delle patologie associate e monitorarne l’efficacia nel tempo.

Per analizzare le inter-relazioni tra comorbidità vascolare, cognizione e strutture cerebrali, John Fisk, Ruth Ann Marrie e colleghi hanno indagato clinicamente, mediante test cognitivi e risonanza magnetica (MRI) dell’encefalo, 105 partecipanti con diagnosi neurologica confermata di sclerosi multipla, in maggioranza donne (84.4%) con età mediana (SD) di 51.8 (12.8) ed età di esordio dei sintomi di 29.4 (10.5).

La comorbidità vascolare era comune e il 35.2% del campione ne presentava almeno una, nel 15.2% ve ne erano due, e nell’8.6% ne sono state riscontrate 3.

I volontari sono stati sottoposti a valutazioni diagnostiche, incluso il rilievo di HbA1c, della pressione arteriosa e del funzionamento cognitivo. In particolare sono stati adottati i seguenti test: 1) Symbol Digit Modalities Test; 2) California Verbal Learning Test; 3) Brief Visuospatial Memory Test-Revised; 4) Verbal Fluency.

La risonanza magnetica nucleare dell’encefalo in toto (whole brain magnetic resonance imaging) ha consentito di misurare, tra gli altri, i volumi del talamo e dell’ippocampo, e di studiare i caratteri della materia grigia e della sostanza bianca. Sono state poi adottate le tecniche correnti per porre in relazione i reperti morfologici con i dati prestazionali.

In sintesi, la lettura dei dati, per il cui dettaglio si rinvia alla lettura integrale del testo del lavoro originale, mostra come evidenza che la comorbidità vascolare nella sclerosi multipla è associata a riduzione delle prestazioni cognitive e, in parte, le modificazioni sia della macrostruttura cerebrale sia della microstruttura mediano direttamente i deficit.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-18 giugno 2022

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Note e Notizie 11-06-16 Trovata la prima mutazione che spiega la sclerosi multipla.

[2] Già negli anni Novanta si conosceva la concordanza fra gemelli monovulari del 25%, contrapposta al 2-3% dei biovulari, e associazioni significative con genotipi HLA; tuttavia, la somiglianza delle lesioni con l’encefalomielite allergica sperimentale è stata condizionante. Questa encefalite, divenuta poi un modello sperimentale della malattia, si produce negli animali per reazione autoimmune a materiali mielinici, in particolare per sensibilizzazione dei linfociti T alla proteina basica della mielina, e presenta lesioni demielinizzanti perivenulari a placca, con andamento cronico e recidivante come nell’andamento clinico della sclerosi multipla umana.

[3] Fagnani C., et al. Twin studies in multiple sclerosis: a meta-estimation of heritability and environmentality. Multiple Sclerosis 21: 1404-1413, 2015.

[4] Beecham A. H., et al. Analysis of immune-related loci identifies 48 new susceptibility variants for multiple sclerosis. Nature Genetics 45: 1353-1360, 2013.

[5] Note e Notizie 11-06-16 Trovata la prima mutazione che spiega la sclerosi multipla.

[6] Malattia di Marburg e sclerosi multipla tumefattiva.

[7] Malattia di Schilder e sclerosi concentrica di Balo.

[8]  Per la ratio 2:1, v. Bradl M. & Lassmann H., Multiple Sclerosis, in Neuroglia (Kettenmann & Ransom, eds), p. 785, Oxford University Press, New York (USA), 2013; per la ratio 3:1, v. Adams and Vicrtor’s Principles of Neurology, Tenth Edition, p. 917, McGraw Hill, 2014.

[9] D’altra parte la demielinizzazione si associa a malattie autoimmuni, quali SLE, malattia di Sjogren e sindromi correlate.

[10] La prevalenza media di 1:1000 abitanti in Nord America ed Europa Centro-Settentrionale comprende stime come quelle di Mayr nel Minnesota di 177 casi per 100.000 (Olmstead County) e di 30/80 per 100.000 in Nord USA e Europa. Invece, nel meridione di USA ed Europa, la prevalenza è da 6 a 14 per 100.000. Nelle aree tropicali è rara con una prevalenza sempre inferiore all’unità per 100.000 abitanti (Cfr. Adams & Victor’s, p. 917, McGrawHill, 2014).

[11] Spesso diagnosticata fra i 20 e i 40 anni: si vedano le righe introduttive in Note e Notizie 06-02-16 Nella sclerosi multipla un sorprendente comportamento delle cellule NK; Cfr. Bradl M. & Lassmann H., Multiple Sclerosis, in Neuroglia (Kettenmann & Ransom, eds), p. 785, Oxford University Press, New York (USA), 2013.

[12] Cfr. Adams and Vicrtor’s Principles of Neurology, Tenth Edition, p. 917, McGraw Hill, 2014.

[13] Compston A., Lassmann H., McDonald I., The history of multiple sclerosis, pp. 69-112 in McAlpine’s Multiple Sclerosis 4th ed. Churchill Livingstone, New York 2006.

[14] Questa iniziativa, a un secolo di distanza, ispirò Rita Levi-Montalcini per la costituzione dell’AISM.

[15] Compston A. & Cole A. Multiple Sclerosis. Lancet 372, 1502-1517, 2008. Cfr. Staugaitis S. M. & Trapp B. D., Diseases Involving Myelin, pp. 691-704 in Basic Neurochemistry (Brady, Siegel, Albers, Price), AP, Elsevier, 2012.

[16] V. nota 10.

[17] Cfr. Australia and New Zealand Multiple Sclerosis Genetics Consortium (ANZgene), 2009; De Jager et al. Nature 41, 776-782, 2009.

[18] Staugaitis S. M. & Trapp B. D., op. cit., p. 696.

[19] Note e Notizie 11-06-16 Trovata la prima mutazione che spiega la sclerosi multipla.